Ha le idee chiare Luca Ricolfi, Sociologo, docente di Analisi dei dati e Presidente e responsabile scientifico della Fondazione David Hume. Siamo un paese confuso e che ha avuto una reazione arraffazzonata alla pandemia sia sul piano sanitario che - anche e soprattutto - economico. Un paese che, a differenza degli Stati del Sol levante, molto più efficaci nella lotta al virus, si è dato obiettivi sbagliati, in buona compagnia con i colleghi occidentali. Gli chiediamo di spiegarci cosa sta succedendo e come dovremmo affrontare la campagna vaccinale.
Domanda, Le democrazie occidentali hanno subito la prova della Pandemia in modo molto sofferto. I cittadini hanno spesso trasgredito alle norme, anche di buon senso, che sono state poste a difesa della salute pubblica. Dove sta il confine fra libertà personale e interesse collettivo?
Risposta. In un’ottica liberale la risposta è (apparentemente) semplice: la mia libertà finisce dove comincia la tua. In pratica non è facile dirlo in ogni circostanza, perché ci sono situazioni in cui il confine non è scontato, ad esempio perché non si sa qual è l’interesse collettivo prevalente: l’interesse collettivo è impedire la chiusura di decine di migliaia di attività, o evitare decine di migliaia di morti? Ma soprattutto: l’interesse immediato a salvare le attività economiche può essere in contrasto con il fatto che, se le si salva ora, si potrebbe essere costretti a sacrificarne ancora di più quando – proprio perché si è badato a salvarle – l’epidemia rialzerà la testa. È quel che è successo a ottobre, quando per ritardare la chiusura per 1 mese dei ristoranti, si è spianata la strada a chiusure molto più lunghe e severe nei 4 mesi successivi.
D. L’individualismo che ha trionfato negli ultimi 20 anni non rischia di minare alla base le fondamenta delle nostre democrazie?
R. Le ha già minate. Il senso civico, la capacità di sacrificio, il rispetto delle regole sono oggi ai minimi, e senza questi requisiti le democrazie diventano puramente procedurali: ogni 4 o 5 anni si vota, ma la vita politica si riduce al mero esercizio del potere.
D. Tralasciando i regimi totalitari come la Cina, le democrazie dei Paesi asiatici, dal Giappone a Taiwan, sono riusciti a fronteggiare meglio la diffusione del virus. Come mai e che lezione possiamo trarne?
R. Le ragioni del successo variano da Paese a Paese, ma l’elemento fondamentale è stato il rifiuto del protocollo europeo-occidentale, fondato sulla mitigazione dell’epidemia anziché sulla soppressione del virus. Si può puntare sui tamponi, sul tracciamento elettronico, sulle quarantene sorvegliate, sui lockdown locali, sulla chiusura delle frontiere, ma l’elemento essenziale è la soglia di allarme: nei paesi “lontani”, non solo quelli che ricorda lei ma anche Corea del Sud, Hong Kong, Australia, Nuova Zelanda, la soglia di allarme scatta con un numero di casi da 10 a 50 volte più basso di quello dei paesi europei. Perché per le classi dirigenti di quei paesi la stella polare è la salute dei cittadini, non la salvezza del sistema sanitario come nei paesi occidentali.
D. Perché la scienza, assoluta padrona del 900, è oggi messa in discussione proprio nella parte del mondo che ne ha tratto i più grandi benefici? Come mai, ad esempio, dubitiamo dei vaccini?
R, I dubbi sui vaccini sono di due tipi. C’è il dubbio NoVax, che è aprioristico e generalizzato (riguarda tutti i vaccini), e poggia sulle infinite varianti e sfumature del romanticismo anti-scientifico. E poi c’è il dubbio su questi vaccini, che è alimentato anche da circostanze obiettive: nessuno conosce i rischi di periodo medio-lungo, le notizie su sicurezza e efficacia sono contraddittorie, le case farmaceutiche non onorano tutte le loro promesse, i contratti sono secretati, gli studiosi non possono accedere ai dati delle sperimentazioni.
Per superare queste fonti di dubbio ci vuole un surplus di razionalità, nel senso che occorrerebbe essere capaci di comparare due rischi: il rischio di ammalarsi e/o morire di Covid, e il rischio di danni connessi a reazioni avverse ed effetti collaterali di periodo più o meno lungo. Scegliere di vaccinarsi significa considerare il primo rischio molto superiore al secondo. Con una complicazione: che il primo rischio si può calcolare abbastanza accuratamente, mentre il secondo è di entità sconosciuta, anche se – verosimilmente – molto inferiore a quella del primo. Insomma: io credo che la scelta razionale sia di vaccinarsi, ma la mia è appunto una credenza, che non è possibile giustificare al di là di ogni ragionevole dubbio, come l’etica scientifica auspicherebbe.
D. Siamo fra gli ultimi paesi al mondo nei numeri che contraddistinguono la gestione della pandemia, sia in termini di morti che di contenimento dei danni economici. Eppure abbiamo impegnato oltre 100 miliardi. Lei ne parla nel suo libro “La notte delle ninfee”. Perché è successo? E cosa avremmo potuto e dovuto fare?
R. È successo per moltissimi motivi, non ultimo fra i quali la presunzione dei politici, che hanno ascoltato solo i loro tecnici di fiducia, rifiutandosi sempre e ostinatamente di ascoltare gli studiosi indipendenti.
Quanto a quel che avremmo dovuto fare non lo si può comprimere in una frase o due, perché le misure cruciali e non adottate sono decine. Nel campo della salute, giusto per fare qualche esempio: chiusura frontiere, tamponi di massa, contact tracing elettronico, Covid-hotel, messa in sicurezza delle scuole, rafforzamento del trasporto locale (per garantire il distanziamento), chiusura delle discoteche, controllo del rispetto delle regole. Nel campo dell’economia: non solo cassa integrazione e sussidi, ma riduzione delle tasse sui produttori (Ires e Irap), pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione, alleggerimento degli adempimenti burocratici e fiscali.
E poi, dopo i primi mesi, consentire alle imprese di ristrutturarsi, licenziando e assumendo. Il blocco prolungato dei licenziamenti sembra una misura giusta, ma è semplicemente uno strumento di trasferimento intergenerazionale della disoccupazione, che distrugge possibilità occupazionali future - tendenzialmente riservate ai più giovani - per mantenere viva ancora un po’ l’illusione del posto per le generazioni più anziane.
D. Abbiamo vissuto un periodo, quello pandemico, in cui gli anziani sono stati spesso considerati sacrificabili perché ‘a fine vita’ e quindi improduttivi. Che posto avranno nella società post Covid19?
Lo stesso che avevano prima. Gli anziani sono una strana categoria: mediamente privilegiati rispetto ai giovani sul piano economico, sono e resteranno fondamentalmente emarginati sul piano sociale e culturale.